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  • Writer's pictureMartina Magno

Soggetto collettivo di sogno

Updated: May 8, 2020

Torino, 14 aprile 2020


Da sopra a sotto la spiaggia. Cieli limpidi. Tentativi di volo. Nuotate. Animali. Il seguire le stelle nel cielo. Fare acrobazie. Le case natie. Bellissimi villaggi e piccoli borghi. Queste sono solo alcune tra le immagini emerse dal lavoro sui sogni iniziato a fine marzo.

Filosofa del linguaggio, da anni mi occupo e mi appassiono allo studio dei sogni, e così ho deciso di impiegare le anomale giornate del lockdown cercando di rispondere a questa domanda. E il risultato appare (almeno nelle prime conclusioni) piuttosto contro intuitivo.

A partire da un piccolo gruppo scelto di persone: circa 20 amici e conoscenti, uomini e donne (per lo più tra i 30 e i 40 anni) provenienti da tutta Italia, cui ho chiesto di inviarmi i propri sogni scritti, sto creando una mappa semantica delle immagini emerse dai testi, che disveli l’attività di un “soggetto collettivo”, un richiamo di chiara derivazione Junghiana.

Penso infatti all’idea di un soggetto collettivo che convive nonostante l’isolamento. Secondo Hillman “Non è l’uomo che va curato ma le immagini del suo ricordo, perché il modo in cui ci raccontiamo e immaginiamo la nostra storia influenza il corso della nostra vita”.

Di fatto i sogni non sono soltanto nostri, e questa crisi se da un lato ci costringe dall’altro ci potrà allargare. Se è vero infatti che l’elemento inatteso e insperato nel buio dell’emergenza Covid-19 è il riemergere del concetto di comunità (in senso ampio: come interconnessione di individui che compongono la società; e in senso più stretto, come micro-comunità), questo vale ufficialmente di giorno, nelle attività che possiamo o non possiamo portare avanti. Dai comportamenti del singolo oggi vediamo come dipendono le sorti e gli equilibri di tutti. Ma questa regola vale anche di notte, quando i nostri corpi trovano pace da giornate rinchiuse, fatte di poco movimento e poco spaziare delle idee? Dove andiamo? Continuiamo a essere collegati?

Non è la prima volta che si studiano i sogni in tempo di crisi. Jung stesso arriva alla delineazione dell’inconscio collettivo insieme al suo gruppo di ricerca composto da studenti, analisti e amici proprio durante gli anni 1913-1920, segnati dal primo conflitto mondiale e dalla devastante pandemia “spagnola”. E la forma del suo approccio alla lettura condivisa dei sogni –che condivido- è quella, si potrebbe dire, del laboratorio dell’autoformazione.

È facile immaginare che ovunque nel mondo gli studiosi del sogno si stiano ora cimentando con questa inedita situazione, cercando di analizzare come essa impatti sul mondo onirico. Negli Stati Uniti Deirdre Barrett, psicologa della Harvard Medical School e autrice di “The Committee of Sleep”, ha dato avvio a una raccolta di sogni nei giorni dell’epidemia da Covid-19. Sul blog “I dream of Covid” è possibile inviare il proprio sogno e leggere una raccolta di sogni narrati nella loro integralità; così come anche qui in Italia varie chiamate di raccolta di sogni sono promosse da quotidiani online e sui social, ma l’atmosfera dei progetti sembra parlare di un inconscio che segue il trauma collettivo.

Il mio approccio si differenzia notevolmente da questi ultimi. Non sto cercando di testimoniare cosa accade all’inconscio, ma possibilmente far trasformare. “Sous la plage” non è una raccolta, bensì un progetto di ricerca interattiva tra un gruppo di sognatori volontari e decisamente coinvolti.

Il modello di gruppo ridotto rimanda a un’epoca d’oro della psicologia sperimentale, vedasi per esempio gli esperimenti degli anni 50 sul social dreaming, ovvero una forma di terapia condotta collettivamente in piccoli gruppi sulla base della condivisione dei sogni.

E la metodologia con cui mi accingo alla lettura dei sogni si rifà anche in parte alle ricerche di George William Domhoff, che fin dagli Anni 60 conduce negli Stati Uniti indagini di tipo semiotico-quantitativo sui sogni. Una pratica che ho già sperimentato precedentemente in contesti di “normalità", rapportandomi ai sogni in termini del “testo” che dagli stessi emergeva (uso dei verbi transitivi piuttosto che intransitivi, delle frasi subordinate piuttosto che paratattiche, etc.), per concentrarmi sulla personalità e potenzialità del sognatore.

Punto ancora più interessante, l’analisi fin qui portata avanti sembra parlare della capacità di reazione dell’inconscio che non emerge come vittima, ma anzi come vivificatore in un contesto particolarmente difficile come quello che stiamo vivendo. La sofferenza e la morte che dominano il discorso pubblico a livello globale non si rispecchiano necessariamente nelle immagini del mondo onirico che mi è stato descritto.

Gli elementi che emergono rimandano sì a situazioni modificate o diverse: c’è ad esempio una maggiore ricorrenza di immagini sulla preparazione del cibo, sull’andare a fare la spesa, idee cioè legate al concetto di sussistenza. Oppure ancora, emergono chiare visioni dell’attuale aspetto del territorio, ovvero gli scenari deserti. Ma ci sono elementi che ricorrono con frequenza che rimandano piuttosto a un certo tipo di forza interiore e al desiderio.

Probabilmente le immagini fin qui raccolte sono influenzate anche dalla tipologia del gruppo scelto: parliamo nella maggior parte dei casi di miei coetanei, quindi un target non necessariamente troppo a rischio delle possibili conseguenze del contagio e che condividono l’esperienza del trauma pur non avendo avuto perdite dirette. Un campione che sembra esprimersi piuttosto attraverso immagini liberatorie, e con cui sto portando avanti una sorta di addestramento al sogno. Il fil rouge del mio lavoro, forse un po’ sofisticato ma sincero, è riporre fiducia nel potere del sogno. Si intravede un desiderio melodico quasi orchestrato, di costruire paesaggi in grado di accogliere una comunità a venire, sì onirica, ma che includa tutte le anime, incluse quelle che sentiamo collettivamente di aver perso.

L’obiettivo è quello di ampliare il bacino di sognatori anche ad altre fasce di età e popolazione e per questo ho creato una mail apposita dove inviare i propri sogni (souslaplage@libero.it). Un accenno delle immagini emerse dai sogni è presente su Instagram (www.instagram.com/sous.la.plage). Ampliare il campione potrebbe permettere di osservare ancor meglio quali siano le immagini più ricorrenti in questi giorni e se esista una reale interconnessione proattiva in quello che sogniamo. Con alcuni degli onironauti assidui di Sous la Plage sto proponendo anche uno scambio impostato sulle prove di sogno lucido e sul “metodo di amplificazione”, ovvero aggiungere contenuti anche sulla base dell’associazione libera di idee per integrare la dimensione dell’invisibile nella vita cosciente. Vale a dire prendere aspetti o elementi del sogno e farli diventare piccole azioni private, gesti, poesie, canzoni o giochi, come è stato fatto già da alcuni dei sognatori. Oppure, in modo utopico, praticare in modo soggettivo o condiviso il tentativo di inversione di segno dei simboli.

Inoltre, già in queste prime due settimane di sperimentazione emergono scie significative di collegamento e sincronie tra i sogni dei partecipanti, che non sono a conoscenza della vita onirica degli altri, almeno apparentemente (Tra i casi più sorprendenti “una piscina coperta con un tetto di vetro” descritta con queste medesime parole da due persone che non si conoscono e sognata una notte dopo l’altra).

Resta tutto da immaginare quale potrebbe essere il portato di questo allenamento onirico, che attraverso l’integrazione del sogno nella veglia, ci mostra caledoscopiche possibilità di essere un noi.

Soprattutto in questo frangente di cammino lungo un orizzonte mobile e verso una libertà che sarà di tipo sicuramente diverso.

E da un interessante appuntamento tenutosi lo scorso weekend in diretta Facebook chiamato “Live dream discussion” promosso dal professor Mark Blagrove, psicologo specializzato in studi sul sonno alla Swansea University, riporto qui il suo punto di vista “we have evidence that when people discuss dreams, the one who's listening becomes more empathic towards the person who's sharing the dream. They start to understand the emotions and the life circumstances of the other person.”

Mentre ci concentriamo sul sogno staremmo di fatto provocando l’attivazione dell’inconscio collettivo junghiano, a beneficio di un livello di sensibilità individuale che percepiamo aumentare. “La nostra era è alla ricerca di una nuova sorgente di vita” affermava Jung ne Il Libro Rosso, un pensiero che intuiamo tanto valido nell’oggi che stiamo sperimentando.

È chiedendo visioni che si ottengono visioni, torna in mente la dinamica dei riti trattata poi dall’etnologo Servier nel suo “L’uomo e l’Invisibile”. E quando noi comproveremo di nuovo insieme le nostre visioni, non sarà solo nell’intimo ma anche nel relazionale.

Concludo con la coda di uno dei primi sogni ricevuti, che spero allarghi a tutti un po’ il respiro come ha fatto con me:

È un po’ come in estate?

E tu stai bene lì?

Si

È come se fosse un ritrovo allora..

..Sì.

(Un grazie speciale a Marco Belpoliti per l’interesse condiviso, alle conversazioni di luce e sul sogno portate avanti con Giulia Nomis e alla giornalista Laura Aguzzi che ha contribuito alla stesura di quest’articolo.)

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