Torino, 8 aprile 2020
Stato di Virus. Abitudini stravolte. Solitudini. Compromessi. Standing ovation di desideri sottoscomposti. Il mio lavoro come fotografa di oggetti a Torino si è interrotto qualche settimana fa, passano i giorni. Ringraziamo il sole che sorge, ma è tutto denso di sofferenza.
Moltissimi di noi in assenza del lavoro ufficiale si sono dedicati ad attività inventate, nuove, o spesso fortuitamente ritrovate, che avevamo perso per strada o dissolto nell’iperproduttività del quotidiano. Allora per liberarci, in ascolto, capiamo di poter passare dagli oggetti ai soggetti.
Provenendo da una formazione in Filosofia del Linguaggio e da un progetto di ricerca sull’approccio semiotico alla lettura dei sogni, la domanda che ha fatto partire questa mia fase II dell’indagine sul vissuto onirico è stata di tipo narrativo emozionale; in un momento di inconcepibile turbamento come quello a cui siamo sottoposti a causa della pandemia, come sta reagendo il nostro inconscio?
E soprattutto, si tratta di inconsci personali veramente a se stanti o è più verosimile chiedersi che ne è dell’inconscio collettivo adesso?
La strada maestra da percorrere allora, lo sa chi è cultore della materia, è aprirsi al ricordo dei sogni, a maggior ragione qui e ora. E perché farlo se non per tracciarne a nostra volta di nuovi, di percorsi?
Nasce così Sous la Plage, la storia in fieri dei sogni di una comunità meravigliosa e sfaccettata di persone -ovvero i miei amici- che, confinata nel contenimento del virus e presa dall’urgenza sempre più quotidiana di reinventarsi, si riunisce nell’inconscio.
Dandosi alcuni tra gli appuntamenti più esotici e romantici di sempre, ovvero in stile subsimbolico!
Stanotte tu sogni la torre, la notte dopo ecco che l’ho sognata io.. poi la torre mette le pinne gialle sul tetto, poi allora arriva il terrazzo sul mare, condiviso, scambiato, e questa volta come per ognuno dei luoghi onirici sembrerebbe proprio: convissuto.
Come se mi fosse stato dato il ruolo di regista mi concentro su queste connessioni o ricorrenze di elementi, di colori o di interi scenari, e nel farlo prende forma quello che si può descrivere come il fantastico soggetto comune di sogno, protagonista di una tanto epocale quanto condivisa prova di resistenza.
Per certi versi è un chiasmo di ciò che avviene ne “La casa del sonno” di Jonathan Coe, romanzo in cui si seguono i diversi destini di un gruppo di 4 amici che vivono all’interno della stessa dimora chiamata Ashdown; in “Sous la plage” ognuno sta vivendo costretto nella propria abitazione apparentemente da solo, ma in realtà intimamente collegato e coeso agli altri durante il sonno. L’altissima frequenza, quasi melodica, di sincronicità di contenuto rilevata nel materiale che sto raccogliendo ci fa vedere come lo scenario risultante sia piuttosto transpersonale, e che l’attività sia appunto quella del soggetto collettivo. Uno dei modi più liberi, di sentirsi parte di tutto.
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Trascrivo qui per tutti i lettori la forma originaria di chiamata a raccolta con cui ho coinvolto gli amici sognatori una sera di fine marzo, fiduciosa che ciò possa creare nuovo interesse per questa materia da sempre di vitale importanza che è il sogno.
Dearest friends, in the form of dreamers In una fase come questa siamo tutti uniti, formiamo quasi ..una specie di inedito e avvalorato soggetto collettivo.
Non dimentichiamoci di avere voci sottili ma molto potenti, in grado di parlare libere per noi stessi ma anche per l’inascoltato, o il non ancora noto.
Anche e sopratutto dormendo. Per chiunque volesse condividere con me il racconto di uno o più sogni che state facendo, sarò felice di leggerli e avere con voi qualora lo vogliate uno scambio scritto a riguardo, una specie di morbido Ping pong per amplificarli. In caso preferiate anche solo inviarmeli, cercherò di fare una mappatura dell’insieme di quelli che ricevo, per disegnare il luogo dove siamo e -chissà- forse anche dove possiamo andare. Consigli pratici, scriveteli o registrate un audio appena svegli. Aspetto i vostri ricordi, qui su souslaplage@libero.it
Finnegan la volpe
o Martina
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